Il Blog di LEMANINPASTA

saltuario di informazione sull'enogastronomia locale

Come quel vino, come il nome di lei. Tintilia.

Nota dell’editore. Il seguente racconto viene pubblicato in onore della giornata Cantine Aperte Molise 2012 tenutasi in Campomarino il 27 maggio 2012. Quel giorno, presso lo stabilimento Di Vito,  erano presenti tutti i maggiori produttori molisani di Tintilia. L’autore ne consiglia la lettura attraverso l’ascolto di questo brano.

Il canto delle cicale era assordante. Lui le ascoltava, non è abituato a questa musica, le sue orecchie son stanche di rumori, sirene, clacson, auto. Non riusciva a prender sonno. “Il Birraio di Preston”, adagiato sul comodino, sorvegliava la sua paura. Era fermo al punto in cui la testardaggine del prefetto di Vigata dominava quella dei nobili e borghesi locali in merito ad una rappresentazione teatrale da svolgersi in città. La gente di Vigata la considerava una mezza calzetta non adatta a “palati fini”. Questa figura testarda, ormai abbandonata a chissà quali altre notti e il canto delle cicale, lo agitavano . Abbandonato il libro,  l’unica cosa che lo tranquillizzava era il suo letto. Lontano dalla frenesia e dall’ansia di tutti i giorni. Protetto, speciale, tenuto in maniera maniacale da una mamma attenta e sempre pronta. Ad ogni suo ritorno, prima o poi. In lontananza sentiva delle voci, chiacchiere di gente ormai nascosta dietro un mazzo di carte, proiettata in un bicchiere e affondata in un sogno ormai rimandato ad un’altra vita. Qualche macchina passava sotto la sua finestra, lento andare, prima o seconda, i soliti racconti, tra una sigaretta e una (scopata) persa. Non riusciva a chiudere gli occhi. Ogni volta che tornava al suo paese si ripeteva la stessa storia. Qualcuno lo chiama ri-adattamento o ri-ambientamento. Eppure lui ha tutto dentro, ma non riusciva a capire. Deve capire. Lo squillo del cellulare interrompeva quella caterva di pensieri, infiniti, interminabili. Un nome, un’amica. Da tempo aspettava quel nome, forse troppo per ricordare o forse poco per riflettere. Era l’unica persona che riusciva a collegarlo al suo mondo, lo reimpiantava lì dove era nato e ad ogni ripartenza erano lacrime. Amare. “Ci sei ? Scendi, ti aspetto, due chiacchiere, solo due te lo prometto; il tempo di una sigaretta”. Quella sigaretta ogni maledetta volta durava il tempo necessario a capire cosa era giusto lasciare e cosa era giusto non dimenticare. La tavola, apparecchiata con cura, forza delle mani del sud o passione per ciò che senti tuo, veniva illuminata da una candela lacrimante cera. Due piatti, due bicchieri e un’unica bottiglia a elevare il momento. La fiammella intanto dimostrava, attraverso il suo calore, cosa era importante guardare e cosa no. Il terremoto e le sue ambigue conseguenze, che indimenticabili avevano lasciato crepe; i suoi occhi profondi e neri, tipici di certe zone; il suo muoversi in cucina con quella padronanza e quella sicurezza propria di chi ha qualcosa da comunicarti, ma a parole non riesce; infine,  il sughero della bottiglia ormai da tempo addormentato su un piattino. L’odore del sugo ormai stanco della sua cottura e i maccheroni che prendevano forma da una chitarra pronta per occasioni speciali volevano rappresentare la semplicità della vita. Lui intanto pensava alla tristezza di certe domeniche buttate su un divano, aspettando invano chissà quale rigatone o chissà quale spaghetto, magari mezzo aperto e abbandonato nella credenza. L’emozione dei suoi occhi, lucidi e intensi, sicuri di chi pensa di star facendo il massimo e che forse l’occasione sarà irripetibile, si rispecchiava nel vetro scuro della bottiglia. La succulenza del sugo scivolava via come qualsiasi parola fuori posto in quel luogo. Lui sapeva di desiderarla, come ogni volta che tornava. Una sorta di rito profano. La candela era l’unica cosa che separava le loro anime, il suo calore presagiva qualcosa di importante da dimostrare, ma forse da non dire. Come loro quella notte. La sua pelle risplendeva di quel colore; le sue labbra, colorate da quella carica antocianica, descrivevano i colori dei vigneti,così come le note della musica in sottofondo, che rimandavano ad una certa cultura ormai abbandonata a note stonate e confuse. Lui la invitò a ballare, gli ingredienti c’erano tutti e miracolosamente erano tutti in ordine. Si sfioravano in un ballo stretto e lento, tanta era l’attesa, Lei emanava profumi avvolgenti, di rosa e frutti rossi, leggermente speziati. Lei voleva sapere, aveva bisogno di sapere e dare concretezza ad un gesto: lui le sussurrava nell’orecchio parole dolci, parole che purtroppo  avevano la fragilità di quella fiammella ormai debole e che si sarebbe spenta, se non oggi, domani. L’apettava da troppo tempo, la sua forza, la sua carica, la sua potenza. Dovevano sprigionarsi. Il resto venne da sè. Impeto e forza, sudore, passione, amore, come la completezza del vino che bevevano, mentre le loro mani, un po’ bagnate da un colore rosso rubino, intenso, impenetrabile, potente e carico, cercavano di incontrarsi e stringersi, come la voglia di aversi in quel momento. La forza di quei baci e l’impeto di quei respiri prossimi all’alba. All’alba prossima. Alla prossima volta. Alla prossima sigaretta, alle prossime lacrime. A tutto ciò che è prossimo e a tutto ciò che bisogna fare ora, subito. Per cogliere il momento e renderlo eterno, come quella notte, come le loro anime, come quel vino, come il nome di lei.Tintilia.”

musica : “Don’t Smoke in Bed”, di Nina Simone, Little Girl Blue, Bethlehem 1958.

IL VINO “TINTILIA”

“La Tintilia è il vitigno autoctono del Molise. Il suo recupero iniziò circa dieci anni fa grazie ad uno studio sulla genetica del vitigno effettuato di concerto dalla Regione e dall’Università del Molise, lavoro che ne attestò le caratteristiche peculiari e soprattutto mise fine all’opinione comune, allora ampiamente diffusa, della sua strettissima parentela col bovale grande, uva di origine sarda. Il vitigno è vigoroso, con vegetazione rigogliosa che va controllata per preservarne l’equilibrio vegetativo – produttivo, considerando che la quantità di uva è piuttosto contenuta (acini piccoli e grappoli spargoli). I vini ottenuti con uve tintili a si caratterizzano per avere una particolare e decisa nota speziata, accompagnata spesso da sensazioni floreali o più marcatamente fruttate, a seconda del terrori di provenienza. Il vitigno risente sensibilmente delle condizioni pedoclimatiche di coltivazione: nelle zone di alta collina, a ridosso del confine con l’Abruzzo, il clima più fresco dona ai vini una colorazione non troppo intensa, corpo snello e profumi speziati e floreali, mentre nelle zone più calde di media collina, in prossimità del confine pugliese, si nota grande concentrazione di colore, maggiore struttura e prevalenza di note fruttate. Il vino è caldo, piuttosto morbido, con una tannicità vellutata e accarezzata da una vena di sapidità.

Maggiori cantine produttici in ordine alfabetico:

  • Borgo di Colloredo, contrada Zezza, 86042 Campomarino (CB)
  • Cantine Cipressi, contrada Montagna, 86030 San Felice del Molise (CB)
  • Cantine Salvatore, contrada Vigne, 86049 Ururi (CB)
  • Catabbo, contrada Petriera, 86046 San Martino in Pensilis (CB)
  • D’Uva Angelo, contrada Ricupo, 86035 Larino (CB)
  • Di Maio Norante, contrada Ramitelli, 86042 Campomarino (CB)
  • Palazzo Livio, contrada Petrole, 86011 Baranello (CB)

    Gustavo Perrotta ha 31 anni ed è nato e cresciuto in Molise. Attualmente vive a Firenze dove lavora per il Monte dei Paschi di Siena. Appassionato di vini e di tutto ciò che ruota intorno all’enogastronomia è prossimo al conseguimento del terzo livello di Sommelier. Ama suonare il contrabbasso. Qui puoi seguirlo su Twitter.

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Questa voce è stata pubblicata il giugno 20, 2012 da in Eventi, Storie di Vita, Vino con tag , , , .